Dalla gloriosa e storica tradizione di fine Ottocento, alla conferma come territorio di elezione per il Pinot Nero.
Inoltre la nuova scommessa: il Riesling Renano, con intriganti sorprese.
Un nuovo corso per un territorio che ha ancora molto da raccontare e, soprattutto, sa definire e comunicare un’identità ben precisa, oltre la spumantistica.
Quando iniziò la spumantizzazione nell’Oltrepò?
Tracce documentali testimoniano la coltivazione dell’uva in queste zone da tempi antichissimi.
Nel 1825 il professor Giuseppe Acerbi scrisse di un’uva tipica detta Pignola (come appunto il Pinot?) “squisita per l’ottimo sapore fra il dolce e l’amaro, capace di dare vini fini, splendidamente colorati e forniti di ricca spuma”.
Sul fil rouge che porta il Pinot in queste terre vi sono indizi contrastanti, forse da tempi antichi vi erano varietà similari.
Di contro, probabilmente nell’impostazione più moderna ed attuale, leggiamo che “è cosa piuttosto recente”, come riferisce a Mario Soldati, Giorgio Odero, lui che ha portato avanti il Pinot Nero Frecciarossa, dopo aver studiato in Borgogna e Champagne.
Sicuramente oggi sappiamo che l’Oltrepò Pavese “è la casa del pinot nero. La maturazione fenolica è perfetta, acidità spiccate e perfetto equilibrio alcolico, ph bassi e verve minerale”, come dice Francesco Cervetti, enologo che per lunghi anni ha seguito la produzione di La Versa, in una intervista al Gambero Rosso. Questa vocazione, intuita già nella seconda metà del XIX secolo e promossa dal ministro Agostino Depretis, getta le basi per una solida produzione.
Erano gli anni del boom della spumantistica in tutta Italia, sulle orme dello Champagne. Per esempio, nel 1843 nelle Marche Ubaldo Rosi spumantizza il Verdicchio e quasi contestualmente nel 1850 circa in Piemonte, Carlo Gancia spumantizza il Moscato.Negli stessi anni, più o meno nel 1865 anche in Oltrepò, il Conte Carlo Giorgi di Vistarino e poco dopo l’ing. Domenico Mazza di Codevilla avviano la spumantizzazione del Pinot Nero.
Lo chiamavano lo Champagne dell’Oltrepò.